Al fianco della rinomata e apprezzata dieta mediterranea, sta crescendo una sempre maggiore attenzione verso la cucina dell’Estremo Oriente.
Nonostante si differenzino per alimenti e metodi di preparazione, dieta mediterranea e giapponese condividono molti dei nutrienti necessari per una vita lunga e sana: cereali (noi più per pane e pasta, loro più propensi al riso), carni bianche, pesce, legumi (noi più fagioli, ceci, lenticchie, loro più soia), formaggi meno grassi (latticini per i “mediterranei”, tofu per i giapponesi), verdura, frutta fresca e, come condimento, olio d’oliva extravergine contro la soia.
Il tema è stato al centro del convegno “Dieta giapponese e prevenzione oncologica”, promosso a Roma nei giorni scorsi da Astellas, utile occasione per ribadire l’importanza dell’alimentazione nella prevenzione e nella lotta alle patologie oncologiche, con specifico riferimento al carcinoma prostatico.
Dieta mediterranea e giapponese sono considerate da numerosi studi le forme di alimentazione più sane e dal 2014 sono state riconosciute patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’Unesco. Tra i principali benefici, si riscontrano una più alta aspettativa di vita e la riduzione di malattie cardiovascolari, diabete e cancro.
Alla dieta mediterranea si associa un’aspettativa di vita di 79 anni, mentre per quella giapponese è di 85. In aggiunta, si riscontra una riduzione del rischio di ictus, cancro e malattia di Parkinson rispettivamente del 25, 22 e 35% con la mediterranea, rispetto a 27, 46 e 50% con la giapponese.
“La presenza di fibre, acidi grassi mono e poli-insaturi, sali minerali e un’elevata quantità di sostanze antiossidanti, tipica delle due tipologie di dieta, fornisce all’organismo una protezione contro i processi infiammatori e contro l’invecchiamento cellulare”, sottolinea Silvia Migliaccio, medico specialista in Scienze della nutrizione umana, e segretario generale della Società italiana di scienza dell’alimentazione. “tali nutrienti svolgono così un ruolo fondamentale nella prevenzione di malattie metabolico-croniche, quali patologie cardiovascolari, diabete mellito e patologie tumorali”.
Sorpresa destano i dati sull’incidenza del cancro prostatico che nei Paesi occidentali arriva, per esempio negli Usa, al 40% mentre in Giappone si attesta intorno al 10%.
“Dal punto di vista clinico, l’alimentazione giapponese risulta efficace nella prevenzione secondo una duplice prospettiva”, dice Andrea Tubaro, direttore UOC di Urologia presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Anzitutto, la dieta giapponese è ricca di cibi come tofu, edamame, germogli di soia, caratterizzati da estrogeni deboli, cioè sostanze di derivazione naturale con una debole attività estrogenica; l’assunzione fin dall’infanzia di cibi con estrogeni deboli genera un’azione protettiva sul tumore della prostata. In secondo luogo, è molto povera di grassi saturi, che sono dannosi per l’organismo poiché innalzano i livelli del colesterolo, la cui alterazione può generare complicanze di tipo cardiovascolare”.
I benefici della “dieta giapponese” nella prevenzione del cancro della prostata sembrano strettamente correlati alla produzione di equolo, metabolita chiave della daidzeina, uno degli isoflavoni glicosidici presenti nella soia. L’equolo si forma dopo idrolisi intestinale della daidzeina e successiva biotrasformazione da parte della flora batterica del colon e risulterebbe in grado di bloccare l’azione del diidrotestosterone (Dht), ormone maschile correlato all’ipertrofia prostatica e al tumore. Inoltre, alcune recenti ricerche hanno evidenziato una benefica correlazione tra dieta giapponese ed evoluzione del tumore prostatico.
Così Marco Silano, responsabile UO Alimentazione, nutrizione e salute all’Istituto superiore di sanità: “È ormai assodato che esista un rapporto bidirezionale tra i nostri geni e i nutrienti che assumiamo con la dieta. Il patrimonio genetico determina la risposta di ciascun individuo ai nutrienti. Parallelamente, gli stessi nutrienti modificano l’espressione dei geni, silenziandone alcuni e attivandone altri. Tale effetto epigenetico si esercita non solo nell’arco di tutta la vita, ma inizia già durante il periodo fetale, oltre ad avere anche una trasmissione transgenerazionale. Alla luce del rapporto tra cibo e geni, le diete tradizionali, quali la mediterranea e la giapponese, presentano uno stretto legame tra la popolazione, il territorio e le tradizioni culturali, a cui i geni “protettivi” nei confronti delle malattie cronico-degenerative si sono selezionati nel tempo”.